sabato 23 luglio 2011

Partire (sempre)

La pianura dalla Ponzana (frazione di Casalino - NO)


Accade, certi giorni, che la vita
s’avvelena e non sai come scovarne
la causa. Scopro la fiacca di lettere
stantie, anche perché il mio trovare
costringe nel volo dell’ inquietudine.

Ho solo voglia d’andarmene via,
ora. Qui, ormai, tutto è guasto di fiele,
l’umano limite morto d’inedia.
Allora, fosco d’entusiasmo
t’affanni organizzando e scopri che,
quando prepari tutto e tutto è pronto,
l’idea del viaggio spossa prim’ancora
di gettarti alle spalle mesi stracchi
di dura insonnia e preoccupazioni.
L’amaro gusto del tagliare sciape
consuetudini getta fuori
tanto che senti la nudità cruda
e scruti l’essere pulsare forte
nell’apertura della quieta vita.

L’ispirazione, mosto ribollente,
trascina nella schiuma dello scrivere
ovunque. Fitti intrecci di versi,
trame schizzate nottetempo
su grigia polvere rendono anima
al gusto del partire.

martedì 19 luglio 2011

Grammatica interiore

Metto in rete la mia ultima "fatica" poetica (e tale la devo considerare). Qui si susseguono giorni di pioggia e freddo al punto che sembra d'essere già in autunno tanto che la sera si accendono stufe e camini per stemperare la morsa dell'umidità. Certo, già in autunno, anche se mancano i colori che rendono unica la valle Vigezzo in ottobre. 
Mi sono messo a scrivere trasportato dall'onda della riflessione e del vissuto, cercando di decifrare questa grammatica interiore in una lingua in grado di comunicare. Spero di essere riuscito nel compito.


Parlo la lingua oscura di passioni
Nere d’inchiostro. Biascico parole
Smerciandole composte in versi senza
Troppo curarmi di coloro, tanti,
che non desiderano liquidare
il balzello esecrabile del mondo.
Per me, lo pago ogni fredda mattina
Nel passeggio col cane, tra il silenzio
Di mura, soglie e finestre che tacciono
La marea della disperazione.
Quale grammatica implora d’usare
L’io inetto e maldestro per cospirare
La morte di dio?

Perché, domando, il mio poetare
(sgraziato verbo per dire il mistero
Delle mani sporche d’eterno)
S’ostina lungo strade irte d’insidia?
Altri poeti cantano del sole,
dell’intenso profumo d’una mammola
o come dir si voglia lo scontato
d’una stucchevole semplicità.
Per me riserbo l’arrancare
Di chi s’appropria di quanto non spetta.

Si, architetto, pianifico la fuga
Nel dove l’intimo grembo feconda
Il germe pullulante dello spirito.
Saranno squarci sul sereno, certo,
boschi e radure, sentieri interrotti,
il lavoro del fare trafficando
sulle emozioni offerte in custodia.
Cosa sarà del bello e dell’incombere
Tutto della natura e attorno al senso
Che scuote il significato in domande?

Mi devo accontentare, per adesso,
di sogguardare dalle imposte
socchiuse: troppa luce punge gli occhi
stanchi. Fuori sussulta un mondo
si dipana l’esistere hic et nunc.

Nient’altro, adesso! Devo caricare
Olio Nel lume per non inciampare
tra la folla che urla il miglior prezzo:
chi oserà rovesciare i banchi
dei mercanti? Troppo rancore e odio
pestano le passioni.




venerdì 15 luglio 2011

Nulla dies sine linea

Non più un giorno senza scrittura. Il motto lo adottò Jean Paul Sartre, io m'accodo provandoci. Per questo comincio con una domanda (come i buoni filosofi).
Dove nasce la poesia? Ci sarà un luogo dove le sottile alchimie dell'interiorità umana secernono il liquore della comprensione.
Ci sarà un tempo, forse lungo e dilatato fino all'annullamento nell'eterno, dove il liquore del vissuto viene ritirato affinché possa cominciare la necessaria fermentazione. E poi?
Se le cose stanno così, dove mettiamo l'immediatezza e la folgorazione? Come accogliamo i fantasmi improvvisi dell'ispirazione, i correlativi oggettivi, la scienza metrica, il trovare antico, la magia dei luoghi, delle situazioni, l'incontro con gli altri, quelli che hanno ancora voglia di mettersi in gioco parlando di sè stessi condividendo la selva delle emozioni?
Forse penso troppo! E' un mio difetto. Eppure...
Gregory Corso (foto da Wikipedia)
Ho terminato proprio questa mattina la lettura di un'antologia poetica di Gregory Corso. Le impressioni che il libro mi ha donato sono tante e contrastanti. I testi originali a fronte, malgrado la durezza dell'americano, mi hanno restituito il suono di quella musica così diversa dalla mia (quando la trovo). E' il primo poeta della beat generation che mi concedo per intero, dopo le classiche antologie e gli assaggi dei quali serbo ricordi contrastanti. Una sorpresa, certo, per chi ha letto solo Kerouac nell'età quando tanti lo hanno scoperto e sono partiti per il classico viaggio alla barbona mettendo a dura prova i pistoni della vespa.
Altri giorni. Tra i versi di Corso, m'è nata la domanda che apre questo scritto. La risposta? Per quella...la poesia, come la bellezza, sboccia sempre nei luoghi meno attesi e sempre senza preannuncio.
La poesia capita, sarebbe corretto affermare. Capita, certo, ma senza cadere nel gorgo della casualità. La poesia capita perché viene costantemente evocata ed ogni poeta o scrittore, possiede i suoi sistemi, impiega personali meccanismi, per mettere in moto la domanda che schiude a quella fame di vita che ogni essere umano sensibile ed attento invoca ogni volta che vive la libertà di farlo. La poesia è apertura alla vita, senza condizioni, ecco. La poesia è produrre (poiein) senso quando ti accorgi che l'inferno è l'impossibilità della ragione , il luogo della relazioni troncate, della chiusura nell'egoismo più gretto. La poesia è un tentativo che deve essere per forza onesto. Allora...

Non posso negare di non avere vissuto la letteratura, nella mia adolescenza! Oggi?

Oggi la saggezza raccolta aiuta a far si che le passioni vengano lasciate decantare, prima di venire centellinate nel gioco poetico/narrativo.

giovedì 14 luglio 2011

Di mattina presto

Campanile (Malesco valle Vigezzo)

Cosa strana: mi piace indugiare in casa, la mattina. Amo la penombra che le persiane accostate diffondono così come il rimanermene seduto a leggere. E’ la nicchia della mia tranquillità, quella che si viene a creare. L’antro per le sane elucubrazioni e gli alchemici esperimenti. La torre d’avorio, direbbe qualcuno.
Sono settimane che noto questo fatto insolito, e più lo osservo astenendomi da ogni possibile forma di giudizio, maggiormente mi crogiolo nella sensazione che il mio rifugio domestico mi permette di godere.
Mi alzo sempre presto, certo, ma questo non significa nulla nei confronti di quanto sopra ho scritto. Ascolto le campane battere le ore, mi bevo il tepore del letto lasciandomi sprofondare nei pensieri, con parsimonia, comunque. Poi, emergendo dall’apnea dell’immaginazione che galoppa… il cane! Il cane da regolare nei suoi bisogni per evitare spiacevoli deiezioni sul tappeto del soggiorno o in qualche remoto anfratto della casa. La preoccupazione di governare il cane mi riconduce nel mondo reale, nella dimensione degli impegni.
Lascio il letto, allora, con fatica. Qualche veloce operazione. Il caffè forte e ristretto mentre schiudo le persiane della cucina e perdo lo sguardo nelle prospettiva dei tetti che apre sul campanile della Chiesa. L’Ave Maria ha già rintoccato per le montagne il suo richiamo ed io sono pronto alla passeggiata con Artù il quale, da parte sua, ha già esternato le sue necessità con salti e mugolii di ogni genere.
Si, lascio con rammarico il silenzio e la pace. Abbasso il ponte verso il mondo richiamando le difese. Lascio il ritiro, ma è presto e dovrei incontrare poche persone. Sto’ invecchiando, e sopporto sempre meno la confusione.
Il fresco del mattino punge intanto che mi concedo la camminata per le strette vie del centro. Le conosco, ormai, le pietre del selciato, certo, anche se la teoria di case e palazzotti riserva sempre nuove scoperte. Ho detto che non voglio incontrare altre persone? E’ vero, anche se qui si è soliti salutarsi anche tra sconosciuti.
Il centro di Malesco è antico, memoria di anni quando l’emigrazione vigezzina batteva le strade d’Europa e poi, si respira profumo di Svizzera. Le pietre delle costruzioni testimoniano la fortuna di molti affiancata alla modestia decorosa di altri, rimasti ad arrancare per i sentieri di questi monti, tra pascoli e alpeggi. La malora è sempre stata dura da contrastare e chi discende da una cultura contadina, conosce a fondo questa crudele verità.
Artù tira, nasando ovunque. Se non fosse per la sua taglia ridotta, potrebbe competere come leader per una muta di cani da slitta. Lo strattono, lui ricambia.
Che bello! Solo lo scalpicciare dei mie passi. Fragranza di muschio e legna bruciata. Finestre socchiuse su mondi domestici. Qualche auto, in lontananza, che scende dalla strada di Finero rotolando con le gomme sul porfido della carreggiata. La fretta di raggiungere il lavoro sembra emergere dal ronzio del motore, da come la curva che immette sulla piazza viene infilata, dalle sfollate.
Raggiungo la Chiesa lasciando scorrere le suggestioni. Il cancelletto del cimitero, sempre socchiuso, stimola i miei pensieri: nulla termina, visto quel pertugio di speranza. Data la via di fuga: l’eterna evasione dalla condanna del mondo. Mi sono sempre piaciute le chiese di montagna, soprattutto quelle piccole delle frazioni, spesso chiuse. Sbirciare dalle inferriate delle finestre mi ricorda le grate del Sacro Monte di Varallo Sesia, con i pertugi attraverso i quali infilare il viso per rimanere catturati dalla scena che la cappella racconta con statue ed affreschi. I luoghi di culto emanano sempre un’attrazione particolare indipendentemente  dalla devozione che hanno suscitato. Un richiamo verso l’alto, il cielo azzurro che scolora con il lento levarsi del sole. Si, devo ammettere di stare bene lontano dalla pianura.
La nostalgia corre all’asilo di casa. Ai libri in attesa sul tavolo. Alle parole che vorrei scrivere e che se non fermo sfuggono dileguandosi. Ho da scrivere tanto, soppesando le idee che da tempo tengo chiuse nell’archivio della memoria. Ho ancora parecchi versi da decifrare come tanti altri da riscrivere quando non strappare.
Il rientro è sempre piacevole. Prima c’è il sentore delle scale di legno con i tonfi sugli scalini che rimbombano. Poi la porta da aprire sull’universo intimo dell’abitazione.
Mia moglie dorme ancora, così Giulia. L’aria è tiepida e sa’ ancora di notte e sonno. Penso a Carlo che è voluto tornare a Galliate: gli adolescenti vivono inquietudini d’ogni genere e trovare pace non riesce semplice, anzi…proprio ieri, mentre lo accompagnavo a casa, dai suoi occhi traspariva il dispiacere di aver lasciato la montagna. Ho tentato di invogliarlo a fare rientro con me, nel pomeriggio: nulla. Nonostante la bontà del clima, ha preferito l’afa della nostra cittadina e la vita comoda che il sentirsi libero ed indipendente nutre di umane aspettative. La casa vuota dei genitori rimane sempre un territorio di conquista ed appropriazione  per i figli bramosi di autonomia. Non mi posso lamentare del fatto che pure lui soffre del mio stesso male: la disillusione nei confronti del genere umano.

martedì 12 luglio 2011

Vecchi versi...

Ho ripreso alcuni vecchi versi. Non ricordo quando li scrissi. Se ne stavano raccolti in una cartelletta appilata tra le tante che mi porto appresso quando mi trasferisco in montagna. Li ho letti e riletti fino a quando sono riuscito a trovare il filo dell'ispirazione (così si dice) per lasciar nascere la poesia. La tenacia, nella ricerca dell'attimo, sembra pagare sempre.



Nebbia sottile, canto annullato
dall’inciampo del cuore nell’intervallo
di travolgenti prepotenti amori.
Nella quiete della sera s’adombrano
Gli accaniti affanni che hanno marcato
La battaglia. “M’hanno abbattuto il cavallo!”
Grido nascosto tra quinte smantellate
Di orbite vuote imploranti sotto la minaccia
Della mia spada di latta acciaccata.

Il palinsesto della mia vita si srotola veloce
Mentre avverto l’ordito dell’esistenza
Che al tatto lascia districare esigua trama:
l’inadeguatezza invita sempre a recidere
ogni rimanente bontà dell’attimo.

Malgrado questa provvisorietà, posso contare
Su null’altro che le mie  incapaci mani,
Se nel tormento rubo la gioia dell’esserci
Inerpicandomi sull’albero della vita.

mercoledì 6 luglio 2011

Un pomeriggio

I Sassi del Gridone dall'alpe Blitz (Valle Vigezzo)

Un pomeriggio (luglio 2011)

Scorro le mie sciatte carte (fuori il cielo
si chiude di nuvole che velano il Gridone)
e stupisco ancora leggendo appunti ripresi
nella fretta. Il tiretto delle ricordanze,
reliquiario segreto di vita provata,
ormai eccede d’inutile minutaglia.

Scrivere, cosa serve  se non fermare quanto
l’inesorabile Letè della sussistenza annebbia.
Dolce appare l’abbandono così come il singhiozzo
della moltitudine ninnata dall’ignavia.

Scrivere cosa serve? Ancora?

Triste impegno quello di postillare
le umane passioni, i lapidari silenzi.
Eppure un mondo traspira dagli sdrucite pagine,
dalle sudate carte, frusto inventario
d’emozioni e sentimenti narrati,
archiviati come rinsecchiti licheni e friabili muschi.
Le chimiche del cuore sono scienza esatta
e poco computano affrettate rime. Meglio i ritmi
che pulsano impercettibili alle vuote parole
che si gonfiano d’ottuso tedio: ora,
l’essere sobri dona senso e misura all’esistere.

martedì 5 luglio 2011

La paura della cultura è paura della libertà di pensiero


Un'ennesima vergogna! Impedire ai cittadini di esprimere il proprio pensiero e di vivere la libertà della comunicazione è un'attentato alla democrazia. Un'azione da autentici criminali!
Nel mio comparire in rete ho sempre cercato la via dell'originalità e dell'indipendenza. Ci sono persone che hanno intrecciato autentici rapporti din scambio e non solo, attraverso l'utilizzo dei blog. Ora vogliono impedire anche questo e perchè? Perchè il conformismo di molti sta tappando la bocca ai tanti che ancora pensano, riflettono, comunicano: bloggano. Rammento quanto disse Mussolini ai danni di Antonio Gramsci: "Quel cervello deve smettere di pensare!".
Attenzione!

La notte della rete


Online video chat by Ustream

lunedì 4 luglio 2011

Un ricordo (ora di supplenza)

Esterno I.C. "Calvino" Galliate (foto dell'autore)
La foto, forse, non è poi così evocativa. Comunque mi ricorda la scuola, il luogo di lavoro e lotta. La scritta? Un grido di protesta quando qualcuno tentò di rinnegare il  25 aprile 1945 come ricorrenza degna di ogni onore e celebrazione. Oggi, quella scritta è stata malamente cancellata con qualche pennellata di colore: l'urlo rimane, malgrado tutto.
I versi che faccio seguire sono stati composti un giorno, durante un'ora di supplenza in una classe non mia: tempo durante il quale ti devi arrangiare nel tentativo di tenere buoni gli alunni, se il collega o la collega assenti non ti hanno lasciato qualche consegna da svolgere.
Rileggendola, m'accorgo di quanto ancora potrei lavorare sui versi, ma l'ho anticipato aprendo questa pagina e descrivendola come raccolta di "materiali poetici".

 (un'ora di supplenza)

Sepolto nel torpore dei ricordi
non so più far memoria del passato.
Un improvviso volo rompe l’uggia
nel grigiore trapunta: mia mattina,

sospesa nella siccità nascente
d’una stanca riarsa primavera,
accendi il sopito desiderio
per una salubre rotta dal mondo.

La noia stringe l’affamato cuore,
le rondini mulinando garriscono,
vibrano le fronde al lieve spiro.

L’incanto si schiude anche nell’ora.
I ragazzi osservo dalla cattedra:
più non sono io, più non sono loro.


venerdì 1 luglio 2011

Mattino


S’ingarbugliano nell’immoto indugio
fatti e parole: nell’attesa vuota
improvvise schioccano le vedette
del cuore: stemperano le balbuzie
nel fulgido baleno.

Punge il turchese nell’algido cielo
mentr’io rincorro diafani fantasmi
nel frizzante mattino. Il cantare
modulato permane sopra neumi
di diuturna assenza.